Non resistiamo al fascino delle maratone. Sugli asfalti, sugli sterrati, sulla sabbia, siamo sempre pronti. La nostra corsa lenta permette di portarne a termine tre, quattro, cinque consecutive, perché più ne facciamo, più ne possiamo fare. Insomma, l’allenamento paga o non paga? La teoria dell’evoluzione di Darwin è vera o falsa? Si realizza, appunto, nel multimaratoneta l’evoluzione in scala microscopica. Le strutture capsuloligamentose diventano più robuste e flessibili; le fibre rosse prendono il sopravvento sulle pallide; i mitocondri si moltiplicano; il cuore rintocca lento e sicuro; le pompe sodio-potassio aumentano la portata; i lipidi smettono di essere parassiti e producono energia; la psiche impara a non essere pavida di fronte alla fatica.
La fatica? La stanchezza? Chi l’ha vista? Non esiste! Ha solo una genesi mentale: passa non pensandoci. Può darsi che la si senta in gara, ma tagliato il traguardo svanisce come d’incanto, essendo tanta la felicità. Non è la felicità lo scopo della vita?
Il popolo delle lunghe non ha accettato supinamente quanto detto e scritto sulle gare di lunga durata; ha eseguito un’opera di revisione critica, sperimentando sul proprio corpo quali fossero i suoi reali limiti. Le conoscenze sulla maratona provenivano dalle esperienze del mondo professionistico, che ha una filosofia tutta propria: allenarsi allo spasimo, bruciare tutte le energie nell’unica gara programmata, vincere per monetizzare il trionfo. I supermaratoneti si sono scrollati di dosso queste teorie di seconda mano; hanno rotto gli schemi preconfezionati da altri; hanno infranto il tabù dell’una, due maratone l’anno; hanno tracciato nuove strade alla maratona amatoriale, ricucendosi un abito su misura. Hanno dimostrato che, riducendo l’andatura, poteva aumentare il numero delle gare portate a termine. Aver avuto quest’idea ed averla realizzata è l’originale contributo che i supermaratoneti hanno dato al mondo podistico. Si son presi anche il lusso di riassumere i loro concetti sotto forma di una legge: “Il numero delle maratone è inversamente proporzionale alla velocità con la quale vengono corse”.
E’ un male ridurre l’andatura? L’unico vantaggio è solo poterne fare di più? Sbagliato!
Significa non stressare organi ed apparati, immunizzandosi dagli infortuni, propri dell’agonismo estremo.
Non schiacciati dall’assillo del cronometro, si possono percepire i palpiti interiori della propria anima, commuoversi alla visione della Fontana di Trevi, stupirsi nel passare fra le porte del Battistero e la facciata policroma di Santa Maria in Fiore, riscoprire le lucciole nell’attraversare, nottetempo, l’Appennino tosco-emiliano durante la 100km del Passatore (non facciamo distinzione fra maratone ed ultramaratone, va bene tutto).
Si ristabilisce il giusto equilibrio fra l’impegno mentale, fatto di tensioni e stress tipici della vita moderna, e l’impegno muscolare, fatto di fatica e sudore.
Vuol dire sostituire al noioso, solitario “lunghissimo” una bella maratona per creare momenti di aggregazione, far nascere nuove amicizie, nuovi amori.
Certo che è eccitante andare a New York e a Boston per essere freneticamente applauditi. Ma più che le frastornanti maratone metropolitane, amiamo l’Italia minore dei piccoli centri storici, dove accorriamo in massa. Senza la nostra presenza, molte di esse non sopravviverebbero.
Se poi qualche maratona si prefigge un fine nobile e sociale, siamo i primi ad iscriverci, ritenendolo un valore aggiunto.
Tutto questo a scapito delle proprie attività lavorative? Per sfuggire la vita? Ci mancherebbe altro! Correre per essere più concentrati, per trovare spazi per riflettere, per non perdere l’abitudine a lottare. Le tante maratone sono una pausa creativa. Mentre il corpo è in movimento, la mente cerca soluzioni da adottare nella vita di ogni giorno.
Ecco spiegato perché una maratona l’anno tirata al massimo può essere fatale, mille mai!
Per farne mille non è necessario essere forti come querce. Bisogna amare il bello, possedere uno spirito romantico, avere un cuore indomito, aver voglia d’imparare, amare l’avventura, ricercare nuove sensazioni, vivere una vita intensa, perché correre è gioia: gioia di vivere. Questi sono i tratti distintivi comuni al popolo delle lunghe, che è variegato per altri aspetti. Alcuni sono tipi caratteristici e, se non ci fossero, andrebbero inventati.
Ma quante maratone si possono fare? Tante quante sono compatibili con le proprie condizioni economiche e nel rispetto degli affetti familiari.
Michele Rizzitelli
Nessun commento:
Posta un commento